Le isole di microplastiche negli oceani

Quello delle microplastiche è uno dei problemi più impattanti del consumismo. Da qualche anno è stato ormai dimostrato come le correnti oceaniche abbiano convogliato centinaia di tonnellate di plastica in vortici permanenti, chiamati gyres. Questi vortici formano delle “isole di plastica” di dimensioni impensabili. Si stima che il gyre nell’Oceano Pacifico abbia le dimensioni degli USA!

Non sono però isole su cui potremo mai mettere piede, né esse sono distintamente visibili a distanza. Esso sono costituite da aggregati di milioni di pezzi di plastica che giacciono appena sotto la superficie e si estendono nella colonna d’acqua. Ad oggi si contano cinque di questi grossi aggregati tra oceano Pacifico, Atlantico e Indiano, più uno nel mar Mediterraneo, nell’area marina protetta denominata Santuario Pelagos o Santuario dei Cetacei, situata tra le coste toscane, liguri e della Corsica. Queste plastiche minacciano gli ecosistemi interferendo con la catena trofica marina e causando la morte di migliaia di pesci, cetacei e uccelli marini.

oceanic_gyres

Iniziamo ad analizzare il problema dalla sua causa. Le plastiche sono materiali sintetici derivanti dalla lavorazione del petrolio. Dall’unione di diversi polimeri, cioè molecole di base costituenti i ‘mattoncini’ delle diverse plastiche, si ottengono materiali come il PET, il polistirolo, il nylon e il teflon. In base anche ai formulati e alle aggiunte di altre sostanze che vedremo in seguito, si ottengono plastiche più o meno dure, (ad esempio buste, bottiglie per l’acqua, flaconi dei detersivi e giocattoli). La cattiva gestione dei rifiuti ha fatto sì che milioni e milioni di tonnellate di plastica siano giunte negli ecosistemi marini fino ad arrivare in questi gyres.

Nel loro lungo viaggio, le plastiche vengono sottoposte ad azioni meccaniche e chimiche tali da essere sminuzzate in innumerevoli pezzettini. Comunemente, si definiscono microplastiche quei frammenti di dimensioni inferiori ai 5mm. La loro presenza desta grande preoccupazione in quanto questi materiali possono facilmente essere ingeriti dagli organismi marini come potenziale fonte di cibo. È questo il caso delle tartarughe marine che scambiano buste di plastica per meduse delle quali si nutrono, finendo per morire asfissiate, o di centinaia di uccelli marini trovati morti con gli stomaci pieni di tappi di bottiglia e altri pezzi di plastica. La stessa minaccia riguarda le balene che nutrendosi filtrando l’acqua, ingeriscono ogni giorno tonnellate di microplastiche. Anche altre specie, come quelle che arrivano sulle nostre tavole (pesci, molluschi, gamberi…), assumono involontariamente notevoli quantità di microplastiche che possono finire quindi anche nel nostro organismo.

Come anticipato sopra, oltre ai polimeri, nella plastica sono presenti sostanze come gli ftalati e il bisfenolo A, additivi che permettono una migliore flessibilità del materiale. Già di per sé, si può intuire che mangiare plastica non faccia bene a nessuno; tartarughe e uccelli marini ne sono la prova. Ma queste sostanze rilasciate in ambiente e poi accidentalmente assunte con l’alimentazione, possono portare a disfunzioni dell’organismo. Sono infatti chiamati distruttori endocrini, cioè sono in grado di modificare alcune molecole che regolano la crescita, lo sviluppo, la salute degli organismi viventi, compresi gli umani. Potrebbero essere la causa, per esempio, di sterilità o di malformazioni fisiche e mentali durante la crescita di un bambino. Come se non bastasse, le microplastiche sono in grado di assorbire e concentrare altre sostanze inquinati presenti nei mari, come il mercurio, che poi si accumula nella catena trofica fino ad arrivare nei nostri piatti.

Per il Mediterraneo, l’università di Siena è in prima linea nel campo della ricerca e nei programmi di salvaguardia delle specie marine dal problema delle microplastiche, con un programma internazionale delle Nazioni Unite.

È dell’ultimo periodo anche la notizia che un ragazzo olandese di soli vent’anni sia ormai pronto a realizzare il suo progetto di pulizia del mare. Questo ragazzo, Boyan Slat, ha presentato la sua macchina nel 2012 all’età di 17 anni. Dopo tre anni e un finanziamento di due milioni di euro la Ocean Cleanup Array è pronta ad entrare in azione quest’anno (2016), cominciando dalle acque giapponesi.

Ma per quanto sia un progetto nobile e doveroso, il problema va risolto in altro modo. Immaginate di dover spazzare palmo a palmo l’intera Europa! Ci vorranno secoli. La risoluzione del problema sta nel comprendere e arrestarne la causa, o ogni tentativo di pulizia sarà vano. È necessario uno sforzo collettivo della società moderna, per comprendere il danno potenziale di ogni nostro gesto sconsiderato, come buttare una plastica a terra, in un fiume o lasciandola in spiaggia. Non facendo la raccolta differenziata in modo ottimale, si impedisce il corretto riciclo dei materiali che potrebbero poi essere dispersi. Vanno perciò condotti programmi internazionali volti alla riduzione della pratica dell’usa-e-getta, incentivando invece il riuso e la sostituzione della plastica con altri materiali laddove possibile, oltre che al riciclaggio.

Massimo

  • Plastic litter in the sea; M.H.Depledge, F.Galgani, C.Panti, I.Caliani, S.Casini, M.C.Fossi
  • First evidence of presence of plastic debris in stomach of large pelagic fish in the Mediterranean Sea; T.Romeo, P.Battaglia, C.Pedà, P.Consoli, F.Andaloro, M.C.Fossi
  • The role of large marine vertebrates in the assessment of the quality of pelagic marine ecosystems; M.C.Fossi, S.Casini, I.Caliani, C.Panti, L.Marsili, A.Viarengo, R.Giangreco, G. Notarbartolo di Sciara, F.Serena, A. Ouerghi, M.H.Depledge
  • Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Unisi
  • Greenme.it

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